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DIMMI CHE ABITUDINI HAI E TI DICO CHE ATLETA SEI

DOVE CERCO LA CAUSA DEGLI ERRORI

Riprendendo la teoria di Rotter possiamo distinguere gli atleti in due differenti categorie: gli atleti con locus of control esterno e gli atleti con locus of control interno.

Ma cosa significano questi termini? Te lo spiego di seguito:

 

Locus of control interno

Rientrano in questa categoria gli atleti che si attribuiscono la piena responsabilità dei propri errori e dei propri successi; sono atleti determinati che non si lasciano influenzare dagli altri bensì affrontano la vita affidandosi alle proprie capacità.

L’atleta con locus of control interno non crede alla fortuna/sfortuna ma piuttosto all’impegno, costanza e abilità come fattori determinanti il proprio destino di cui ciascuno è artefice.

 

Locus of control esterno

L’atleta con locus of control esterno è invece portato a fare scelte volte ad adattarsi e compiacere l’ambiente esterno, dal quale è altamente influenzato; cerca all’esterno da sé la causa dei propri errori attribuendola ad eventi esterni talvolta incontrollabili come il destino avverso o la sfortuna.

Alla base di un locus of control esterno c’è una scarsa fiducia nelle proprie capacità il che porta l’atleta ad assumere un atteggiamento facilmente rinunciatario di fronte ad ostacoli e difficoltà.

 

TIPOLOGIA DI MOTIVAZIONE

La scelta di praticare un certo sport, l’atteggiamento di fronte ad ostacoli e difficoltà, l’interpretazione data alla sconfitta e il significato attribuito alla vittoria sono strettamente correlati alla tipologia di motivazione che anima l’atleta.

 

La psicologia ci insegna che tutte le motivazioni possono essere ricondotte a due principali categorie: motivazione intrinseca (cioè, interna all’atleta) oppure estrinseca (e quindi esterna all’atleta).

Vediamo più nel dettaglio gli atteggiamenti mentali associati a queste due tipologie principali di motivazione:

 

L’atleta mosso da motivazione intrinseca si approccia agli allenamenti e alle competizioni agonistiche per il piacere stesso che il suo sport gli procura; il divertimento è il motore principale, così che ogni difficoltà/imprevisto che si interpone fra sé e i propri obiettivi diventa una SFIDA e non un’incombenza.

La principale ricompensa per l’atleta mosso da motivazione intrinseca consiste nell’affinare sempre di più la propria competenza e trovare soluzioni ai problemi, indipendentemente da ricompense e riconoscimenti esterni.

 

L’atleta mosso da motivazione estrinseca, all’opposto, è motivato dal desiderio di ottenere una ricompensa esterna o di evitare situazioni spiacevoli (come brutte figure, rimproveri, delusioni personali/altrui).

È chiaro che, anche in questo caso, all’atleta piace praticare il suo sport tuttavia in determinate circostanze, il bisogno di riconoscimento, di ricompense esterne o di evitare situazioni spiacevoli prende il sopravvento, rischiando di “appesantire” la mente dell’atleta, soprattutto di fronte ad imprevisti/ostacoli interpretati più come scocciature che come parte del gioco stesso.

 

COSA PENSO DELLE MIE CAPACITÀ

Secondo la teoria di Albert Bandura: l’autoefficacia è la fiducia che l’atleta ripone nelle proprie capacità e competenze e, questa percezione di autoefficacia, influisce sulla definizione degli obiettivi e sull’interpretazione data dall’atleta agli ostacoli e difficoltà incontrati sul proprio cammino.

 

Secondo questa teoria, gli atleti con alti livelli di Autoefficacia credono pienamente nelle proprie capacità di raggiungere gli obiettivi che si sono dati e, alla luce di questo si applicano anche per affrontare ogni ostacolo che renda difficoltoso il raggiungimento della meta.

L’atleta che crede nelle proprie capacità si pone obiettivi ambiziosi e realistici, all’opposto meno autoefficacia l’atleta ripone in sé e più sarà portato a porsi obiettivi al di sotto delle sue capacità così da essere certo di realizzarli.

 

Gli atleti con bassi livelli di autoefficacia sono convinti delle proprie capacità fino a che va tutto bene, quando però si scontrano con ostacoli ed impedimenti li interpretano immediatamente come un segno della propria incapacità e incompetenza, spesso rinunciando fin troppo rapidamente a raggiungere i propri obiettivi.

 

 

COME VIVO LE SCONFITTE

 

La sconfitta come uno stimolo

Per questi atleti non esiste il “fallimento”, bensì la logica è quella del “O VINCO O IMPARO” secondo la quale anche il mancato raggiungimento degli obiettivi fornisce informazioni importanti per riprovarci ancora una volta, correggendo il tiro al fine di risultare più efficace.

L’atleta in questo caso non teme le sconfitte bensì le considera un punto di partenza, occasione per comprendere dove e come migliorare le proprie competenze al fine di avere più possibilità, la prossima volta, di raggiungere i propri obiettivi.

 

La sconfitta come una minaccia

All’opposto l’atleta che vive le sconfitte come un fallimento fa più fatica a lasciarsi alle spalle la delusione, frustrazione, rabbia per il mancato conseguimento degli obiettivi, ritardando così il suo nuovo ingresso in pista.

Per questi atleti le sconfitte rappresentano una minaccia alla propria autostima, prova della propria incompetenza e incapacità, pertanto vanno evitate o attribuite a fattori esterni a sé.